Il “lavoro” e il ruolo “sociale” del Conservatorio Rossini

Il “lavoro” e il ruolo “sociale” del Conservatorio Rossini del Cavaliere Giorgio Girelli

“Per quest’anno chiamiamola “Giornata del Lavoratore” più che “Festa del lavoro”. Si festeggia chi c’è. Mentre il lavoro è in gran parte drammaticamente assente in questo periodo di sciagurata pandemia. Come assente è il tradizionale gioioso  ed applaudito concerto in Piazza del Popolo, a Pesaro, del Conservatorio statale Rossini magistralmente diretto da Michele Mangani.”

Non era solo un evento musicale, onorato dalla presenza di tante autorità e presenziato da una folla che di anno in anno è diventata sempre più numerosa. Voleva essere un omaggio a tutti i lavoratori ed un richiamo ai tanti problemi insoluti che gravano sul mondo del lavoro, in un contesto comunque che consentiva di chiamarsi “Festa”, anche per gli aspetti di godibile svago che alla celebrazione della  giornata si sono sempre accompagnati. E per il Conservatorio rappresentava anche una occasione di rafforzamento del legame con la sua città e per gli studenti un momento di approfondimento su un aspetto fondamentale della società costituendo il lavoro uno dei pilastri su cui si basa l’edificazione di uno Stato.

Una sede didattica infatti non dovrebbe fermarsi ai suoi compiti tecnico-formativi in senso stretto, ma  concorrere ad alimentare la maturità civica dei propri studenti. A questi due obiettivi ho sempre dedicato il mio impegno negli anni di diretta gestione dell’Istituto musicale voluto da Gioachino Rossini e punti fermi ne sono stati, oltre al Concerto per la Festa del Lavoro, la inaugurazione dell’anno accademico, il Ferragosto al San Salvatore, i concorsi internazionali, i concerti di Pasqua e Natale, il concerto per la Festa della Repubblica, la celebrazione della ricorrenza di Santa Cecilia, i concerti per la LILT (Lega Italiana Lotta Tumori), i concerti per i terremotati promossi dal maestro Domizi, oltre alle altre numerose manifestazioni  con connotato prevalentemente didattico.

Gli effetti collaterali della pandemia sospendono questo percorso di affinamento sociale. Ci rubano la primavera. E la “Festa” diventa una giornata assai dimessa. Dimessa ma non inutile perché anzi il coronavirus ci obbliga a riflettere quanto siano importanti il lavoratore ed il lavoro, quello degli stagionali agricoli (la cui carenza rischia di privarci del 40% di frutta e verdura),  quello di commessi e cassiere dei supermercati, dei trasportatori, dei barbieri, dei ristoratori e dei baristi, degli albergatori,  dei bagnini,  dei commerciati. Attività, scarsamente retribuite, alle quali si è fatto poco caso, ma senza delle quali il mondo si ferma. Per non parlare di infermieri e medici, duramente impegnati in prima linea, alle cui accorate richieste di potenziamento delle strutture, in passato, si è risposto con sciagurati tagli con le tragiche conseguenze di oggi.

di Giorgio Girelli

Fonte:
Corriere nazionale 2 MAGGIO 2020
Leggi l’articolo originale qui